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giovedì 1 aprile 2021

L’egoismo, Antigone e la frontiera



 «Non per condividere l’odio, ma per condividere l’amore io sono nata» scriveva Sofocle di lei (il nome “Antigone”, letteralmente, “al posto di una madre”).

Noi al momento saremmo il coro. 

 

Ebbene, colei che agisce al posto di una madre torna, stavolta a Nizza, al Sud della Francia, incarnata nei panni di un uomo di nome Cedric Herrou, un contadino mite, vestito di cose calde, ma colpevole per la legge degli uomini.

 

Quarantenne, coltivatore di olive e allevatore di galline nella campagna poco fuori il piccolo borgo di Breil sur Roya, nella valle al confine tra Francia e Italia, giovane, col viso pallido, vestito di velluto a coste, sdrucito, silenziosissimo, venne accusato ormai 5 anni fa di aver aiutato troppe persone, cittadini eritrei, somali, gente senza niente, che attraversava le montagne e le sue terre, e aveva bisogno di un passaggio, un tetto, una coperta. L’accusa che oggi il Tribunale dismette gli ha rovinato la vita. 

“Reato di solidarietà” venne chiamato dai suoi legali.

Herrou dovette pagare una multa di tremila euro e ebbe quattro mesi di carcere, sospesi con la condizionale. E nonostante già 4 anni fa il Consiglio costituzionale francese, a Lione aveva garantito, - perché c'era anche la calunnia in ballo - , che quello di Herrou era sempre stato ‘“un aiuto disinteressato ai migranti”’, i guai furono concreti e tristi: 11 arresti, 5 perquisizioni, 5 processi. E solo adesso, 5 anni dopo, si chiude definitivamente la parte giudiziaria, a suo totale favore.


Vidi Herrou di persona a Roma, in un incontro organizzato presso la sede della Federazione Nazionale della Stampa, con attivisti ed umanitari del mondo non governativo e UN. Era sperso il suo sguardo, e turbato.  Ricordo anche un’aria da tifoseria in quell’incontro – la frontiera in questione è quella anche simbolica tra Italia e Francia – che imbarazzò alcuni di noi. 


Ricordo un disagio fisico, davanti a questo destino perfido e surreale che perseguitava quest’uomo mite, silenzioso, che parlava da un mondo antico, poverissimo, remoto, lontano dai riflettori. L’idea che venisse istruito un crimine, forse perfino una persecuzione, contro chi aiutava qualcuno in condizioni di vulnerabilità, e già oscenamente criminalizzate,  era sconvolgente; tanto che non sapevo più dire chi fosse l'offeso, o la offesa più grande in quella storia.

Quella che faceva a se medesimo il Re, della celebre tragedia, stavolta incarnato dallo Stato colla toga, tarpandosi umanità in cambio di potere, o quella ad Antigone, offesa nel suo sentimento privato e generativo, o quella alla vittima, l’assente che nella tragedia  è il cadavere del fratello di Antigone, e nella cronaca a cui assistevamo, il migrante già offeso dalla storia colla ‘s’ maiuscola, ma nemmeno seppi dire il ruolo del coro inerme ma dotato di parola, che eravamo noi, i presenti a quell’incontro.

Oltre al senso comune, e a quello giuridico che allora ci sfuggiva, era quasi si sovvertisse un ordine più profondo, quello del materno forse, o il senso della vita stesso.


Di lui non so altro, non ho seguito che le vicende dai giornali francesi, non posso giudicare.

 

Cerco le sue parole in Rete. 

Le trovo.

 

“Spesso mi veniva chiesto perché ho aiutato queste persone. In realtà si dovrebbe chiedere allo Stato perché non l’ha fatto, e perché condanna chi assiste persone in stato di necessità. Quello che dà fastidio alla destra è che ciò che ho fatto, rientra nei valori costituzionali della Repubblica. Sono un cittadino francese e onoro questi valori. Amo il mio paese, così come amo l’Italia, e anche l’Europa: i confini sono solo legislativi, amare una terra non impedisce di amarne altre, e con essa i vari popoli”, diceva Herrou diventato caso internazionale, un simbolo, suo malgrado. E pur mezza Marianna e un quarto di Antigone, ritrovo il suo sguardo, stupito, colpito, più consapevole, ma più stanco, negli spezzoni di telegiornali, attorniato da un rumore e clamore che immagino lontano dal gesto silente di mangiare un pasto con uno sconosciuto, o guidare su per le montagne, che spesso ha dichiarato, interrogato,  non essere atto di ribellione, ma di normalità, non qualcosa di straordinario ma di ordinario, non provocazione ma adesione ad una legge più grande, l’amore. Qualche volta ha parlato di indecenza. 

 

Il termine obbedienza deriva dal latino oboedientia, che indica saper ascoltare con attenzione. Non somiglia all’obbedienza alla forza, perché nasce dalla libertà, ed anche nella tragedia greca  sia il Re ascolta le ragioni di Antigone che viceversa.

 

Gira nelle  nostre pagine e nelle chat una storia, che mi è impossibile verificare. E mi torna in mente perché racconto una piccola storia francese.

 

“Uno studente chiese all’antropologa Margaret Mead quale riteneva fosse il primo segno di civiltà in una cultura. Lo studente si aspettava che Mead parlasse di ami, pentole di terracotta o macine di pietra. Ma non fu così. Mead disse che il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito. Spiegò che nel regno animale, se ti rompi una gamba, muori. Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume a bere qualcosa o cercare cibo. Sei carne per bestie predatrici che si aggirano intorno a te. Nessun animale sopravvive a una gamba rotta abbastanza a lungo perché l’osso guarisca.

Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi. Mead disse che aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il punto preciso in cui la civiltà inizia. Noi siamo al nostro meglio quando serviamo gli altri. Essere civili è questo”. 

 

Se non fosse vera è ben trovata.

La scienza, quella che viene considerata certissima, giunge per altre vie a simili domande.

 

“Se vogliamo creare una società in cui le persone collaborano tra loro in vista del bene comune, non possiamo aspettarci granché dalla natura biologica. Facciamo in modo di insegnare la generosità e l’altruismo, dal momento che siamo nati egoisti. Facciamo in modo di capire cosa sono capaci di fare i nostri geni egoisti, perché così avremo almeno l’opportunità di sconvolgere i loro piani.” scrive Richard Dwarkins, oxfordiano, biologo, assertore del punto di vista del gene, invece che dell'individuo, - e si va nel micro - , da cui vedere la cooperazione, l’altruismo, la generosità individuale e collettiva, da un diverso punto di vista.   

 

Ma ci sono altri punti di vita invisibili ed interni. Ad esempio quello psicologico, o le differenze tra persone: come mai alcuni sono altruistici ed altri no, lo spiega da un punto di vista cognitivo Abigail Marsh, in una Ted conferenza piuttosto popolare; perché per lo scienziato, un po’ come per il Re di Sofocle, tutto deve avere almeno una ragione razionale, ed Antigone alla fine è giudicata e condannata come se non la avesse, e  fosse pazza: chissà se la scienza oggi potrebbe difendere le sue ragioni, invece (https://www.ted.com/talks/abigail_marsh_why_some_people_are_more_altruistic_than_others?language=en).

 

Eric Fromm, psicoanalista e psicologo sociale, offre una concezione complessa e ricca dell’obbedienza e della sua antitesi, la disobbedienza (torna la dualità): “La disobbedienza, nel senso in cui si usa il termine, è un atto di affermazione della ragione e della volontà. Non è tanto un atteggiamento contro qualcosa, quanto piuttosto un atteggiamento verso qualcosa, che implica la capacità umana di vedere, esprimere ciò che vede e rifiutare ciò che non vede”.

 

Nel suo libro “La disobbedienza e altri saggi” la chiama “la voce che è presente in ogni essere umano, indipendentemente dalle ricompense e le punizioni esterne. La coscienza umanistica si basa sul fatto che abbiamo una conoscenza intuitiva di ciò che è umano e inumano, di ciò che favorisce la vita e di ciò che la distrugge. Questa consapevolezza è essenziale per il nostro funzionamento come esseri umani”.

 

Mentre 500 milioni di persone tra poco, nel 2050, si metteranno in moto, scapperanno, da dove vivono, isole, paesi equatoriali, città o deserti che siano, e nessuno sa dove andranno, e come faremo, come faranno, il funzionamento come esseri umani sembra diventare molto importante, e certo un reato studiato a tavolino, come un muro studiato a tavolino, probabilmente in futuro non si riveleranno tanto razionali.

 

La “Fraternité” messa in discussione, contadini accusati di disubbidire, le conseguenze delle guerre alle frontiere, la cura e la generosità trattate come un crimine straordinario, i femori rotti e curati, i geni. E una storia come quella di Antigone che ridiventa vera, tremila anni dopo.

 

Ebbene sono stati anni amari e complicati, qui nella Vecchia Europa.